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Scrivi un commento al testo di Fabrizio Bregoli
Queste care, fragili ossa

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Elettroforesi

 

M’imponi, necessità inalienabile
reverenziale rispetto del verso
come fosse un sacro crisma, un cristallo
da imballare con la dizione fragile,
t’aspetti assoluzione consolante
di rima ritmo luna amore stelle,
per lo meno l’aderenza al canone
in questa incontinenza dell’esistere.

Nella congerie osmotica del secolo
che vede l’uomo al bivio del suo nulla
non serve un trabocchetto, la fasulla
moneta dell’incanto ad ogni costo,
bisogna distillare il sentimento
disporlo in una curva intellegibile
e farne il diagramma degli stimoli
dargli la giusta coppia, potenziale
impulso e carica, elettroforesi.

Il verso va pressato all’essenziale
sforbiciato, sfrondato con tronchesi,
la nostra persistenza ormai è endemica
s’appoggia a pochi esatti gesti certi:
il cambio gomme, la curva glicemica
il piano di raccolta dei rifiuti
l’adeguamento ISTAT, la giusta diùresi
l’IMU e l’alvo regolari, l’afèresi
del poco che vale, dal tutto vile.

 

 

Ai più umili organi

 

Ai più umili organi, senza blasone
motori silenziosi dell’esistere,
spazzini al ciglio delle grandi arterie
affollate dai plenipotenziari
maestri dell’assolo virtuosistico,
organi per gli addetti del mestiere
per melomani da enciclopedia,
timo ipofisi - epifisi surreni
langerhans retto - milza ano adenoidi

Agli organi che fa ribrezzo dire
ad alta voce senza vezzeggiare,
a miti officianti di secrezioni
che ancora in fasce s’impara a storpiare
con onomatopeici scioglilingua,
che non saranno mai Cuore Cervello
non meritano tutto quel riguardo
appena un po’ più utili del calcagno
un po’ più onorevoli della lingua

Agli organi proscritti da ogni musica
sia lode, araldi della dissonanza
tartaree trombe della raucedine
sabotatori d’ogni scala armonica
con quel graffio sfrontato, quella ruggine
che li fa un po’ la Joplin, un po’ Dylan.

 

 

Dilemmi metrici

 

Chissà se ci chiameranno per nome
o prenderanno il calco delle impronte
per evitare ogni contraffazione,
forse sarà un pigmento assolutore
sull’iride, il distintivo corredo
dentario, l’olografia del viso.
Certo non ci salverà l’incanto orfico
lo scadenzario netto degli accenti
la moltitudine di fogli oppressi
per farne metro esatto dell’esistere.
Dicono basti preservare l’anima
cromarla a prevenzione della ruggine
proteggerla dalle umane intemperie
serbarne proporzioni, grammatura
come la barra di platino iridio
nel sottovuoto del sancta sanctorum,
museale campionario inviolabile
immunizzarla nella formalina.

Noi che abbiamo lordato mani e sangue
per darci illusione d’aver vissuto
poi renderci alla creta dell’origine,
fidiamo in una deroga al giudizio,
nel pentimento in zona Cesarini
per chiudere ai rigori la partita.
Col tocco d’imprevisto che non guasta
per dare la sostanza ad un finale
come in un film di pirati esemplare
lo scrigno d’oro spunta tra le nasse,
ci dia aggio se lasca è la misura
un provvido errore di parallasse.

 

 

Poesie terze classificate alla seconda edizione (2016) del Premio Letterario Nazionale indetto da LaRecherche.it: Il Giardino di Babuk - Proust en Italie

www.larecherche.it/premio.asp ]

 

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